PNRR: una politica dall’alto contro l’autorganizzazione dal basso

di Laura Castellani

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), presentato come una grande occasione di rinascita di un Paese con tante fragilità sociali, rischi ambientali, una crescente instabilità economica e un tessuto produttivo in costante declino, è davvero una grande occasione?

Il PNRR viene generalmente descritto come un grande investimento per l’economia, la società e l’ambiente; un motore di coesione sociale – più volte infatti viene utilizzata la formula “per non lasciare indietro nessuno”; uno strumento capace di rilanciare l’economia ed accrescere il PIL senza costi sociali ed ambientali, un piano di investimenti per la ricostruzione di un Paese in cui la crescita economica andrà di pari passo al benessere e alla coesione sociale.
Alla prova dei fatti, però, la narrazione costruita attorno a questi fondi inizia a scricchiolare e numerosi interrogativi emergono violentemente.

Due progetti, presentati in contesti territoriali differenti, mi hanno dato la possibilità di riflettere sulla ratio degli investimenti del tale Piano.
Si tratta della realizzazione di un “Centro Servizi per il contrasto alla povertà” nel Comune di Rimini e dell’intervento di “Rigenerazione territoriale della tenuta di Mondeggi” presentato dalla Città Metropolitana di Firenze. Due progetti, dunque, che si muovono nell’ambito dell’inclusione sociale e territoriale e che sembrano attuare pienamente gli obiettivi di NextGenerationEU: un futuro più verde, digitale, sano, forte e uguale.
Considerando però a fondo questi due progetti ci si accorge che non è tutto oro quel che luccica.

Il Centro Servizi per il contrasto alla povertà sorgerà in uno stabile di proprietà comunale che si trova in un quartiere di Rimini socialmente attivo e già attento ai temi della marginalità e della povertà. L’edificio in questione attualmente accoglie uno spazio giovanile, culturale e solidale “Casa Madiba” ed è collocato nei pressi di “Casa Don Andrea Gallo”, una sperimentazione sociale di coabitazione che supera l’idea stessa di dormitorio e attiva percorsi di empowerment e di vita degna insieme ai suoi abitanti. Casa Madiba e Casa Don Andrea Gallo sono esperienze che nascono dal basso, dalla lotta e dall’autorganizzazione di cittadini/e riminesi per creare spazi di libertà e accoglienza per tutti/e che non hanno voluto accettare un welfare basato su ricatto e controllo. Dunque, l’immobile pubblico dove sorgerà anche il Centro Servizi è protagonista, da ormai 10 anni, di campagne solidali e mutualistiche per i cittadini come il Guardaroba solidale e la Staffetta alimentare attivata durante la pandemia; oltre che di una vita culturale e aggregativa propria.
Ad un primo sguardo si potrebbe pensare che la collocazione di un Centro Servizi in un quartiere con tale sensibilità sociale e politica sia la scelta migliore per la città, ma alcune ripercussioni di tale opera vanno considerate. Benché a livello istituzionale piaccia parlare di co-progettazione, in realtà questo progetto non è stato pensato né costruito con i cittadini della zona, con le associazioni che in tale contesto operano e che quotidianamente si fanno già promotrici di servizi e sperimentazioni sociali che lavorano con la grave marginalità adulta in un’ottica di housing Led, di empowerment e partecipazione dei soggetti interessati. Le valutazioni dell’amministrazione comunale sono state rivolte esclusivamente alla struttura dell’immobile e agli interventi edilizi da svolgere, piuttosto che all’impatto sociale che tale centro potrebbe avere in quello specifico contesto urbano, vicino al Parco Marecchia e ai capannoni dismessi e abbandonati dell’area Ex Forlani, luoghi che fanno gola ad attività illecite e criminose.
Il termine riqualificazione, richiamato più volte a livello istituzionale, assume dunque il significato di una presa in giro tanto più in un’area urbana dove dal 2013 associazioni, attivisti, cittadini si sono mobilitati per la sua rigenerazione e per la risoluzione di criticità strutturali intrinseche a quell’area. Infine, va specificato che su quell’immobile pubblico erano già state avanzate diverse proposte dalle associazioni che mantengono viva l’area da più di 10 anni; probabilmente però non è interesse di questa amministrazione comunale supportare, condividere e progettare una città solidale, accogliente ed inclusiva a partire dalle proposte dei suoi stessi cittadini.

L’altro progetto che mi offre spunti di riflessione e che, pur collocandosi in un altro contesto regionale, presenta una logica istituzionale ambigua come il progetto riminese, è la rigenerazione di Mondeggi, un possedimento di circa 170 ettari che si estende sul Comune di Bagno a Ripoli e in parte sul Comune di Figline e Incisa Valdarno. Questo intervento prevede il restauro della villa padronale medievale, del giardino, del parco, dei casali e delle cappelle; a ciò si aggiunge la creazione di invasi d’acqua, l’investimento in viabilità, sottoservizi e la suddivisione dei terreni in sette poderi agricoli con relative case coloniche. Un progetto imponente, con un grande impiego di risorse (pari a 52 milioni di euro) che arriva dopo 8 anni di battaglia della comunità di Mondeggi contro la vendita di questo bene comune. Una lotta che ha impedito la vendita all’asta della tenuta da parte della Città Metropolitana di Firenze e che è stata motore di autorganizzazione dal basso, di presa in cura del territorio, di relazioni e solidarietà. Oggi questo finanziamento apre una nuova fase per questa esperienza e ci obbliga a riflettere sui rischi che, a partire dagli stessi lavori di ristrutturazione, cambieranno il volto della tenuta e la sua accessibilità.
Attualmente, infatti, in varie parti dell’area sono state avviate diverse attività agricole, sociali e culturali che da 8 anni animano Mondeggi. Chi assicura la destinazione agricola del possedimento? Cosa ne sarà del vigneto potato, curato e rimesso in produzione dalla comunità di Mondeggi? I cittadini che da anni si prendono cura degli olivi potranno ancora raccogliere le olive? I campi coltivati a seminativo e l’orto continueranno ad essere beni comuni?
La stessa città metropolitana di Firenze che per anni ha cercato di vendere all’asta la tenuta, oggi si fa promotrice della sua ristrutturazione dichiarando altresì la volontà di frammentare i 170 ettari in 7 poderi con relativa casa colonica. Perché viene prevista tale frammentazione? Sorge pertanto il dubbio che la Città Metropolitana di Firenze non abbia totalmente abbandonato l’idea di vendere pezzi di questo bene comune, e che la frammentazione in poderi con casa colonica possa essere propedeutica alla vendita. Vista la tendenza delle istituzioni politiche regionali e nazionali a mercificare i territori e a promuovere il brand del Made in Italy, chi ci assicura che Mondeggi non diventi l’ennesimo parco tematico all’insegna del food e del green? Dubbi leciti ancor più suggeriti dalla logica di fondo del PNRR che auspica percorsi che vedano andare di pari passo crescita economica ed equità sociale, mantenendo inalterati il principio di concorrenza e la logica di mercato che determinano il sistema economico attuale. Una mission contradditoria che la quotidianità dimostra assolutamente utopistica: mercificazione dell’esistente ed equità sociale non sono mai andati di pari passo, ma chi scrive pagine e pagine di documenti istituzionali probabilmente non se n’è mai accorto!

Entrambi i progetti del PNRR si inseriscono in contesti partecipati e attivi, in sperimentazioni sociali dalla forte vocazione al cambiamento nate dall’autorganizzazione dei propri cittadini/e.

Secondo me non è un caso che ciò avvenga, e l’uso politico dei fondi del PNRR è ben evidente in entrambi i progetti: una società civile vivace e propositiva risulta spesso inafferrabile a livello istituzionale e a tratti pericolosa perché capace di mobilitarsi, organizzarsi e stringere relazioni trasversali tra diverse soggettività e territori. Dunque, per un’istituzione locale, provinciale, regionale o nazionale mettere mano in spazi di libertà e autorganizzazione sociale risulta un’occasione per andare a determinare il loro futuro e le loro prospettive: il ricatto dell’utilizzo di fondi pubblici per la riqualificazione di beni pubblici immobilizza l’energia sociale e la depotenzia. Inoltre, la retorica istituzionale, basata su una termini come co-progettazione e co-programmazione, prova a sussumere le spinte di autorganizzazione e innovazione sociale imbrigliandole in una contrattazione istituzionale in cui la parte sociale risulta depotenziata rispetto alle istituzioni politiche che conducono totalmente la partita del PNRR.

La vera battaglia è, a mio parere, gestire e monitorare pubblicamente i processi di riqualificazione degli immobili e del territorio per preservarne la natura di bene comune, attraverso il coinvolgimento dei cittadini e delle comunità. Il rischio, infatti, di rinchiudersi solamente in un ambito prettamente istituzionale a discuterne la co-progettazione è quello di consentire alle istituzioni pubbliche di riassorbire le spinte di cogestione dal basso, che spesso indicano un’alternativa al contesto sistemico in cui viviamo. Le risorse intellettive, culturali ed esperienziali che si costruiscono nei percorsi collettivi sono anch’esse bene comune; un investimento pubblico promosso con una visione politica non sempre in linea con le idee di cambiamento e di riappropriazione dei territori non può e non deve cancellare quel patrimonio di conoscenze e saperi che hanno contribuito a cambiare la percezione del comune in un determinato territorio e in una data comunità. Non possiamo ridurre a questione meramente amministrativa e contabile l’utilizzo di queste risorse, la partita è politica e va gestita pubblicamente tenendo alta l’attenzione verso le responsabilità politiche delle scelte di investimento delle amministrazioni e le conseguenze di questi processi di riqualificazione. La mobilitazione non deve escludere il confronto istituzionale o viceversa, entrambi i piani, istituzionale e politico-sociale, possono andare di pari passo ma l’uno privo dell’altro risulta depotenziato, instabile e insufficiente.

È necessario farsi promotori di mobilitazioni pubbliche di piazza, dibattiti cittadini e occasioni per far conoscere e attraversare le esperienze dal basso che hanno da tempo preso in cura un determinato immobile, un’area, un terreno, e per mantenere viva l’attenzione sulla gestione dei fondi del PNRR per le riqualificazioni e ristrutturazioni di beni che sono già diventate patrimonio comune delle comunità locali. La società non è immobile ma anzi prova a rispondere ad esigenze e necessità a cui, spesso, le istituzioni politiche non sono in grado di affrontare. Siamo una risorsa di idee, conoscenze, competenze ed esperienze e non possiamo accettare che ingenti fondi pubblici gestiti dall’alto cambino i nostri territori senza reali percorsi di partecipazione e discussione che coinvolgano i propri cittadini. Non vorremmo di certo contribuire all’urlo di co-progettiamo a soffocare le spinte sociali che negli ultimi dieci anni hanno risposto alle crisi e alle politiche neoliberiste di esternalizzazioni e svendita del patrimonio.

Siamo protagonisti del cambiamento e tali vogliamo restare.

FONTI:

http://www.nextgeneration-eu.it

https://italiadomani.gov.it/it/home.html

https://www.cittametropolitana.fi.it/pnrr-e-gli-interventi-in-citta-metropolitana-di-firenze/

https://www.comune.rimini.it/novita/notizie/pnrr-gia-89-milioni-di-risorse-europee-aggiudicate-dal-comune-di-rimini-sostegno

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